Vita da spiaggia… in città.

Ieri pomeriggio dopo che sono andata a prenderlo all’asilo ho proposto a Pietro di andare in un altro parco, un parchetto molto vicino in cui andavamo da piccoli sia io che il suo papà. E’ un campetto molto spartano, e i giochi sono molto usurati, però ha di bello che ha ancora uno di quegli scivoli originali in metallo (lo stesso di 30 anni fa) con una bella sabbiera sotto, e una fontanella di acqua accanto. Mi è sembrato che poteva essere carino andare li, ora che fa tanto caldo e potevamo fare finta di essere al mare! Così Pietro ha colto la mia proposta con enorme entusiasmo e ci siamo diretti, io a piedi e lui sulla sua oramai inseparabile bicicletta senza pedali, al parchetto con la spiaggia. Quando siamo arrivati c’erano pochissime persone, ci siamo guardati intorno e Pietro si è subito diretto verso una zona del parco dove ci sono i giochi per i bimbi più piccoli, tra cui un pallottoliere gigante dove ci sono due bimbi più grandi di Pietro, avranno almeno 4 anni, che giocano a spostare le palle e a nominare il colore. Io mi allontano di qualche metro e lascio che Pietro interagisca senza la mia presenza. Dopo aver osservato quello che stavano facendo i due bimbi cerca subito di interagisce e sposta anche lui un paio di palle. Uno dei bambini si accorge della sua presenza e immediatamente gli impedisce di partecipare al gioco, ma Pietro continua a spostare le palle e l’altro bambino interviene fisicamente e blocca le mani di Pietro e con tono da rimprovero gli dice “Bambino cattivo!”. Io rimango distante e vedo Pietro -con mio grande stupore- fare una cosa che non l’ho mai visto fare, prende la mano del bambino che lo stava bloccando e gli dà un morso. Rimango in osservazione a distanza. Se la caveranno da soli, mi dico. Se intervenissi a difenderlo sarebbe come autorizzarlo a mordere, e non voglio farlo, penso anche che quegli altri sono più grandi, sapranno difendersi, penso anche che a settembre alla materna avrà a che fare con bambini più grandi, e quindi dopo aver pensato tutto questo in un nanosecondo decido di continuare a non intervenire. Ma il bambino che è stato morso inizia a piangere come se gli avessero staccato una mano, inizia un pianto a sirena senza lacrime, per attirare l’attenzione della madre che era seduta con un altra mamma qualche metro più in là. La madre arriva con un balzo a controllare la situazione e il bambino inizia ad urlare come se gli avessero segato un braccio, non la smette di piangere neanche dopo l’arrivo della madre, continua a dire “bambino cattivo, bambino elettrico” rivolgendosi a Pietro (“bambino elettrico”???) e Pietro lo guarda senza batter ciglio. A questo punto mi avvicino e cerco di spiegare la situazione, ma non faccio in tempo ad aprire bocca che immediatamente vengo attaccata dalla mamma del bambino-sirena che mi dice “E però suo figlio ha azzannato mio figlio e lei sta li e non dice nulla?”. Io respiro, conto fino a 2 e poi le dico “Signora mio figlio non l’ha mai fatto guardi, è la prima volta, è successo che voleva giocare con i bimbi e loro lo hanno respinto e suo figlio ha detto a mio figlio che era un bambino cattivo, e visto che mio figlio non è abituato a sentirsi dire che è cattivo perché non lo è, evidentemente avrà ritenuto di difendersi mordendo le mani che lo stavano placcando!”. La madre prende il bambino e inizia una scena con molto pathos in cui la madre consola il figlio esagerando molto, come se davvero gli fosse successo qualcosa di grave e poi continua a dirgli “vieni che ti sciacquo” prende una bottiglietta d’acqua e gliene versa la metà sulla mano. Io guardo la scena con gli occhi sgranati, mio figlio è la metà del suo, gli ha dato un morsetto sulla mano, e lei spreca una bottiglietta d’acqua per sciacquargliela da cosa? Mica ha la lebbra che deve sciacquare via, e poi Dio mio, c’è una fontanella di acqua che sgorga a due metri di distanza! Mi sembra proprio tutta una grande esagerazione e amplificazione. Mi sembra una scena surreale. Comunque non dico nulla a Pietro e ci spostiamo, andiamo nella sabbiera a giocare.

Mi siedo all’ombra su una bella panchina di legno verde, tira una leggera brezza, si sta bene. Pietro scivola da uno scivolo accanto alla sabbia sopra cui ci sono altri due bambini appena più piccoli di lui, lui è molto attento, aspetta il suo turno, scende, aiuta la bambina a raccogliere le macchinine che le sono cadute, insomma.. tutto regolare, posso anche rilassarmi. Intanto che Pietro gioca inizio ad incuriosirmi alle frasi che sento provenire alla mia destra, le due mamme dei due bimbi sullo scivolo. Parlano tra di loro e poi ogni tanto si appellano ai figli: “non lanciare la macchinina dallo scivolo”, “siediti bene per scendere”, “tieni le gambe dritte”, “hai sete? vuoi il thé? hai fame? vuoi i crackers? vieni qui che ti metto l’antizanzare, tieniti stretto quando scendi, fai passare il bambino, non lanciare le macchinine (aridaje), non andare sulla sabbia, scendi da questa parte, vieni che ti si è spostato il cappellino, non andare sull’altro scivolo che ti sporchi tutto di terra”… Non ce la faccio a sentire oltre e per smorzare questa pressione propongo a Pietro di togliersi le scarpe, così è più libero di sporcarsi e non dobbiamo pensare alle scarpe. Loro (the others) mi guardano come se avessi nominato il diavolo, e in men che non si dica anche i loro figli vogliono imitare Pietro nello scalzamento. E li inizia una pantomima senza fine che ha del ridicolo: una delle mamme si avvicina alla sabbiera (indossa un paio di infradito) e inizia a dire “mi sono tutta sporcata di sabbia, ecco vedi, per venirti a prendere mi sono dovuta sporcare i piedi di sabbia, dai vieni via da qui che la sabbia è sporca, qui non siamo al mare!” e prende il bambino per un braccio e lo porta via. Il bambino oppone resistenza, vuole proprio giocare nella sabbia con gli altri bimbi, i secchielli e le palette, e lei gli intima che se va ancora nella sabbia lo porta a casa e gli ordina di giocare sullo scivolo. “Vai a giocare sullo scivolo, ma non lanciare le macchinine”. L’altra madre invece impedisce alla figlia di entrare nella sabbia con modi più ricercati: “Smettila di fare i capricci subito altrimenti andiamo a casa, se stai nella sabbia non ti compro il gelato”. Ed eccolo li che arriva in tutta la sua imponenza il ricatto affettivo con il premio alimentare. Fantastico. La Tata docet. Se fai da bravo ti premio, se fai da cattivo ti punisco. La bimba si oppone e vuole scendere dallo scivolo che è tutto insabbiato perché altri bimbi giocavano a far scivolare la sabbia. La madre entra come in panico, corre allo scivolo e inizia a pulirlo dalla sabbia con i piedi, per poter far scivolare la figlia senza che si “sporchi” i vestiti, le fa fare accompagnandola mezza scivolata, poi la solleva di peso e la mette sul passeggino e la imbraga. La bambina inizia a piangere seriamente allora lei la porta in passeggino a prendere il gelato, a 20 metri di distanza. Tornano con il ghiacciolo e quando Pietro la vede mi chiede se possiamo andare a prenderne uno anche noi. Gli rimetto le scarpe e andiamo.

Quando torniamo lo scenario è cambiato, le mamme non ci sono più, ed è arrivato un altro gruppetto di bimbi e mamme e uno di questi bambini ha in mano un oggetto del desiderio infinito per mio figlio, la pistola ad acqua! Pietro mi guarda e mi dice che la vuole, ma il bambino è appena arrivato e ci sta giocando lui, non sarà disposto a dargliela. Allora gli spiego che sarebbe meglio aspettare qualche minuto e chiederla dopo. Ma quello viene a sventolarcela sotto il naso, e Pietro la vuole, inizia a piagnucolare dicendo che la vuole. Cerco di distrarlo in altro modo e lo porto al campetto a giocare un pochino a calcio e a fare i gol.

Quando torniamo e rivede la pistola ad acqua ricomincia a piagnucolare che la vuole, allora lo esorto ad andare a chiederla lui stesso al bambino, e gli suggerisco di proporgli uno scambio: “offrigli la tua bicicletta senza pedali in cambio della pistola e vedi cosa ti dice”. Pietro pretende che sia io a fare la negoziazione, ma io da qualche tempo lo esorto a fare da solo, in previsione della scuola materna vorrei proprio che iniziasse ad imparare a negoziare da solo e a trovare soluzioni in modo autonomo nelle negoziazioni con gli altri bimbi. In queste situazioni diventa molto timido, e preferisce fare riferimento a me, quando ci sono io. Lo esorto a fare da solo, a prendere la bicicletta e fargliela vedere e proporre lo scambio. Gli dico che io sto qui a guardarlo, ma vorrei che andasse lui a fare lo scambio. Ci pensa su un attimo e poi prende di peso la bicicletta e la porta al bambino con la pistola ad acqua: gliela mostra e gli chiede uno scambio. Il bambino lo guarda, e immediatamente gli porge la pistola e fa per salire sulla bici quando si accorge che mancano i pedali, allora con aria interrogativa guarda Pietro che monta in bici e gli fa vedere come funziona e gli dice “E’ senza pedali, devi usare i piedi per spingerti, puoi andare veloce!” Al bambino si illumina il viso e inizia a correre sulla biciclettina e Pietro viene da me tutto soddisfatto con la pistola, e andiamo a riempirla alla fontanella insieme.

Il pomeriggio prosegue benissimo, Pietro gioca con questo bimbo e con gli altri bimbi nella sabbia, scambiandosi gru e trattori, secchielli e palette e -quando nessun adulto interviene- va tutto liscio come l’olio.

Quando stavamo tornando a casa mi ha chiesto di tornarci ancora, ma stavolta saremo muniti di pistola ad acqua anche noi!

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Ciambella di ciliegie vegana

Ho collaudato una ricetta di ciambella vegana che si presta bene a molte preparazioni e viene sempre buona e sofficissima. Tengo validi degli ingredienti di base e ne cambio solo alcuni e viene sempre buona. La ricetta è quella della ciambella di mele e uvette, questa volta però l’ho fatta con le ciliegie dell’albero di mia nonna. I miei me ne hanno portato un cesto enorme un paio di settimane fa. Ho provato a farla con la farina integrale, con quella di farro, con la 0 e viene sempre buona.

350 gr di farina (io ho provato 150 di integrale e 100 di 0 ed era squisita!)

100 gr di zucchero di canna grezzo

1 bustina di agente lievitante biologico (che poi è amido di mais e bicarbonato di sodio)

1 spolverata di vaniglia

1 cucchiaio di succo di mele concentrato biologico

350 gr di ciliegie

latte di riso q.b.

olio di semi di mais (partite da mezzo bicchiere e poi aggiustate).

Unite gli ingredienti secchi in una ciotola, farina, zucchero, lievito, vaniglia e poi versate il mezzo bicchiere di olio di semi di mais, aggiungete le ciliegie snocciolate e iniziate a mescolare, aggiustate di olio e di latte di riso, la consistenza deve essere cremosa come quella di uno yogurt. Oliate una teglia a forma di ciambella e versate dentro il contenuto. Infornate 180° a forno statico per 40 minuti buoni.

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Confettura extra di ciliegie raccolte dagli alberi!

Beh è impossibile negarlo, ma il gusto che c’è nel raccogliersi delle ciliegie e poi farsi la confettura – per un’appassionata di marmellate come me (ma perché poi bisogna chiamarle confetture?) – è impagabile. Questa è una confettura extra, ovvero la frutta supera il 45% del totale degli ingredienti. Come e dove le abbiamo raccolte è cosa nota, questo è come le ho usate per fare la confettura:

2 kg di ciliegie

150 grammi di zucchero di canna grezzo

2 gr di agar agar (a piacere)

Lavare le ciliegie e privarle del picciolo e snocciolarle, giuro che mi compro lo snocciolatore perché vero che è bello fare tutto da sole, ma snocciolare a mano richiede tempo, e preferirei utilizzarlo in altro modo! Mettere le ciliegie in una pentola con lo zucchero, amalgamare il tutto e accendere il fuoco. Ho messo pochissimo zucchero perché queste ciliegie erano già tanto dolci, ma non sono solita metterne comunque tantissimo perché non amo il dolce e mi piace sentire il gusto della frutta. Ho lasciato cuocere per un paio d’ore girando di tanto in tanto con il mestolo di legno, ho lasciato le ciliegie a pezzetti, non ho passato con il passino. Ho sterilizzato i barattoli, riempiti di marmellata e poi chiuso, capovolto per una notte e poi fatto questi bellissimi cappellini con gli avanzi di tessuto della fasce che sto cucendo. Qualche giorno dopo ho fatto altri 2 kg di confettura, questa volta però utilizzando una bustina di 2 gr di agar agar, aggiunto a fine cottura.

Arriveranno a Natale o ce li mangeremo prima? La seconda che hai detto.

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Alberi di ciliegie

 

Un paio di settimane fa siamo stati invitati a raccogliere ciliegie da una cugina di mia suocera che ha un bellissimo podere con orto, frutteto e cavalli nelle colline immediatamente fuori Verona. L’incontro si tiene ogni anno e serve ai cugini per riunirsi e vedersi almeno una volta all’anno. L’alibi. Si raccolgono selvaggiamente ciliegie dagli alberi del frutteto. La spinta. Vedere una zia di mia suocera di novantanove anni raccogliere ciliegie e vederla sorridere quando le dico che allatto ancora Pietro. Divertente. Mangiare sotto i tigli che fluttuano al vento e trovarsi continuamente in bocca fiori di tiglio. La poesia. Ascoltare i racconti di mia suocera su suo zio, Ugo Guanda. Impagabile. Tenere Pietro in quattro adulti mentre il nipote dello zio Ugo estrae con una pinzetta una scheggia di legno conficcata sotto l’occhio durante un’acrobazia. Ma perché non stai fermo figlio mio. Vederlo mangiare ciliegie direttamente dall’albero. Meno male che ci sei tu a ricordarcelo. Portarsi a casa un bottino di ciliegie da snocciolare per farci confetture e cuscinetti. Non aspettavo altro.

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Ci abbiamo dato un taglio!

E alla fine l’abbiamo fatto! Siamo riusciti a tagliare i capelli a Pietro! Erano oramai mesi che provavamo a convincerlo a tagliarli, e -anche grazie ai preziosissimi consigli della nostra amica Paola Egi- ce l’abbiamo fatta. Fosse stato per me glieli avrei lasciati crescere all’infinito tanto erano belli, ma sapevo che era arrivato il momento di tagliarli. Non perché “Poverino ma non ha caldo? non suda? sembra una femmina!” No, per nessuno di questi motivi e per nessuno di altri mille motivi che mi sono sentita dire in quest’ultimo anno. “La mamma voleva una femmina”, “La mamma non vuole distaccarsi dal bambino”, la mamma, la mamma, la mamma… e il papà se lo dimenticavano sempre tutti! A noi nostro figlio piaceva così, e lui si piaceva. Tutto qui. Nessun problema patologico di nessuno, semplicemente gli crescevano tanto, era bello, si piaceva, e non voleva tagliarli. In fondo sono i suoi i capelli, mica i nostri? E se a lui piacevano così, che male c’era? E se proprio devo dire da cosa mi sentivo mossa interiormente, era da un fatto di rispetto dell’integrità di Pietro, come una forma di accettazione del suo modo di essere, così “rock ‘n roll” come lo ha definito una cugina di Francesco la settimana scorsa!

C’era una sola cosa che non capivamo: la sua pervicace resistenza a non volerli tagliare. E’ qui che ci si è palesata la risposta, semplicissima, in tutta la sua innocenza: aveva paura che tagliare i capelli fosse doloroso. Allora su consiglio della Paola abbiamo iniziato a giocare al parrucchiere e soprattutto a fargli vedere che tagliare i capelli non faceva male, così, sacrificando qualche ciocca la mamma tagliata direttamente da lui con la forbice vera, ha capito che il taglio non era doloroso e che si poteva fare. Dopo un mese di preparazione l’altra sera eravamo soli, stavamo facendo il bagno insieme, gli stavo lavando i capelli e ho pensato “Ora, è il momento”. L’ho portato fuori dalla vasca, l’ho spazzolato per benino, ho preso la forbice, raccolto i capelli e tagliato netto. Pensavo che sarebbe stato più doloroso per me, invece è stato un attimo. Ho scattato una foto un attimo prima, è stato catartico.

Poi abbiamo iniziato ad aggiustarli qua e là e più o meno un taglio quasi decente è venuto fuori! I capelli li abbiamo riposti in una bella scatolina, sono pur sempre una parte di lui, documento della sua crescita e del fatto che, è vero, a 3 anni si diventa grandi. Si dorme tutta la notte e piano piano si inizia a svezzarsi sempre di più, inesorabilmente. E io sono una mamma orgogliosa e felice, di un ometto che vedo crescere tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti. Quando si è guardato allo specchio si è toccato dietro e mi ha detto con lo sguardo illuminato “Mamma sono felice che mi hai tagliato i papelli!”

Ciao meravigliosi capelli d’angelo.

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Siamo tornati!

Dopo un paio di mesi di silenzio eccoci qui! Siamo tornati! Sono successe tante cose, alcune dolorose altre no, ma siamo qui. Piano piano riprendo a scrivere.

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La cucinetta di Pietro!

Finalmente trovo il tempo per scrivere qualcosa sul regalo che abbiamo fatto a Pietro a Natale: una bellissima cucinetta che lui stesso insieme al suo papà hanno costruito partendo da zero. Quando ho proposto a Francesco di fare come regalo di Natale la cucinetta a Pietro la mia idea era di costruirla noi e fargliela trovare pronta sotto l’albero, ma lui -ovviamente- non ha voluto e ha proposto di coinvolgere direttamente Pietro nella costruzione del suo regalo, conoscendo le sue abili doti nel “fai da te” e io… come potevo dire di no? D’altronde questo è uno dei capisaldi di come cerchiamo di crescere nostro figlio, coinvolgendolo attivamente in tutte le cose che facciamo proprio perché lui si senta partecipe della vita di famiglia e accolga in sé gli aspetti della condivisione e della gioia di fare le cose insieme. Ma ora passiamo al sodo, brugola e martello alla mano!

Pietro aiuta il papà a costruire la cucina

L’idea da cui siamo partiti era quella di costruire un gioco che fosse di legno, davvero non sopportiamo i giochi di plastica che in casa nostra hanno il veto, e tantomeno un gioco come la cucina, che se deve essere simbolico almeno deve rappresentare la realtà, e le cucine si sa, non sono mica di plastica! Siamo partiti dall’idea di fare qualcosa di piccolo e compatto, e che fosse al bisogno anche trasportabile! La struttura della cucinetta comprende la parte dei fuochi con sotto il forno e un ripiano, il lavello con il rubinetto e sotto il lavello uno sportello dove riporre degli oggetti,  una piccola mensola sopra la parete serve come supporto a sostenere qualche oggetto e attrezzo di cucina, qualche pomolo per i fornelli, dei sottobottiglia per i fuochi, una maniglia per il forno, e una ciotola in metallo per il lavello! E poi il resto alla fantasia: arredare e corredare la cucina con tanti begli utensili a misura di bambino! Il bello della cucinetta è proprio che andando avanti con il passare dei mesi si arricchisce di oggetti preziosi che servono ai nostri piccoli cuochi provetti per cucinarci dei deliziosi pranzetti a base di noci, nocciole, ghiande e castagne matte trovate in giardino o in cortile! Maccheroni veri e fagioli secchi, pezzetti di legno, sassolini, insomma tutto contribuisce a fare dei loro minestroni delle pietanze buonissime a cui davvero non possiamo dire di no! Anzi, direi che il bis è un dovere!

E a voi? Vi piace la cucinetta di Pietro? Davvero? La volete? Ve la facciamo! Scriveteci a laveraarte@gmail.com. Volete vederla dal vivo? Venite a vederla a Fà la cosa giusta! Dal 30 marzo al 1 aprile 2012 FieraMilanoCity la potrete ammirare nello stand di Naturalmamma (sezione rosa pianeta dei piccoli) stand P105!

"Ancora un minuto mamma! Tra poco la pizza è pronta!"

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Marta!

Ciao piccola Marta, sei tra le braccia della tua mamma del tuo papà e del Tommi.

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Pane integrale alle ortiche

Bom, io l’ho fatto. Avevo le ortiche avanzate e non vedevo l’ora di infilarle nell’impasto del pane. Ho fatto qualche ricerchina in rete e in tutti i siti e blog possibili e immaginabili si dice che questo pane sia delizioso, buonissimo, profumatissimo… dunque le cose sono due, o non è venuto bene a me, oppure tutti gli altri mentono spudoratamente! Certo io me la sono andata a cercare, che mettere nell’impasto di farina integrale una zavorra di ortiche bollite, benché scolate, non è proprio il massimo della vita.. già è un pane a lievitazione lunga… Dunque ieri mattina dopo aver impastato il pane sono andata al lavoro tutta contenta, speranzosa di trovare il mio impasto lievitato al mio ritorno, e invece non si era mosso di un millimetro. Così ho rimpastato, fatto le pieghe più volte nel corso della giornata, messo a lievitare al sole, messo nel forno con la ciotola di acqua calda e la luce accesa.. nulla. Alle 7 di sera quello stava ancora uguale a prima. Ho acceso il forno e dal momento in cui ho infornato la pagnotta la casa è stata invasa da questo odore nauseabondo di acqua di mare, di calamari, di un odore mai sentito prima. Francesco si è chiuso in camera da letto con i conati e io ho aperto tutte le finestre per fare corrente e spazzare via quella specie di odore di porto inannusabile. Intanto almeno in forno la pagnotta si era gonfiata bene, almeno quello. E il colore che ha preso era molto bello, certo averlo fatto solo con farina 0 si sarebbe visto molto di più il bellissimo verde dell’impasto (beh dai almeno una cosa bella!). Sfornato il pane l’ho messo a freddare e non ho resistito – dovevo assaggiare. Così ho tagliato un paio di fette e dopo un’oretta l’odore mefitico era quasi sparito. Ho spalmato una fetta con confettura di amarene ed era mangiabile, ma davvero -davvero- insolito.

La ricetta che ho utilizzato è questa:

150 gr di pasta madre lievitata

300 gr di farina 0

300 gr di farina integrale

2 cucchiaini di zucchero di canna

1 cucchiaino di sale

1 cucchiaio di olio evo

semini di sesamo

100 gr di ortiche lessate per 5 minuti e scolate

Ci riproverò, magari solo con farina manitoba!

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A chi non vuol far fatiche…risotto alle ortiche!

Non è vero, il proverbio dice “A chi non vuol far fatiche, il terreno produce ortiche”! E allora noi queste belle piantine di ortiche primaverili che hanno invaso l’orto le togliamo, ma mica le buttiamo però eh! Le raccogliamo, guanti mi raccomando -possibilmente doppi che quella simpaticona anche con i guanti di lattice pizzica lo stesso! e poi ci facciamo qualcosa in cucina. Dunque l’altra mattina mi sono munita di un bel cesto e siamo stati tutta la mattina in giardino a lavorare, Francesco ha fatto dei lavori nell’orto e seminato, Pietro era molto affaccendato con il suo trattore e si è intrattenuto con noi senza disturbarci, anzi aiutando sia me che il suo papà nei lavori di sistemazione dell’orto. Raccolte le mie ortiche le ho messe prima in una grande bacinella per pulirle grossolanamente dalla terra, poi nel lavello dove ho selezionato manualmente le foglie. Se voi non dovete estirparle dall’orto vi consiglio di tagliare direttamente con la forbice le foglioline, perché lavarle e pulirle è davvero un lavoraccio. Ma siccome io le fatiche le voglio fare…

Intanto che le lavavo pensavo a cosa avrei voluto farci e a come avrei potuto utilizzarle. Leggiucchiando di qua e di là ho trovato qualche notizia interessante sull’uso delle foglie e delle radici in tintoria, le foglie essendo ricchissime di clorofilla tingono ovviamente di verde, mentre le radici venivano utilizzate per tingere di giallo! Un’idea per quei famosi gomitoli di lana grezza che mi deve dare mia suocera… vedremo.

Risotto alle ortiche sulla stufa

Fate bollire per 5 minuti una manciata di foglie di ortiche lavate in un pentolino e aggiungete un paio di cucchiaini di sale (o un dado bio). Lasciate rosolare uno spicchio d’aglio e mezzo cipollotto fresco tagliato sottilissimo in qualche cucchiaio di olio di oliva extra vergine. Aggiungete il riso e fate tostare per qualche minuto girando con un mestolo di legno perché non si attacchi, dopo di ché aggiungete le foglie di ortica, 200 gr circa, e sfumate con un mestolo di acqua delle ortiche che avete fatto bollire. Rimestate e aggiungete acqua mano a mano che si asciuga. Io l’ho fatto cuocere molto lentamente sulla stufa. Servite con qualche fogliolina fresca. Devo ammettere che il gusto è molto delicato come mi avevano detto!

Con la manciatina di ortiche che mi erano servite per fare il brodino verde ho fatto delle polpettine che Pietro si è spazzolato! Sapevo che non avrebbe gradito il risotto e infatti appena l’ha visto ha sentenziato “Spinaci, bleah!”… dopo una lunga opera di convincimento che non erano spinaci ma le ortiche che avevamo raccolto di mattina ha assaggiato un paio di cucchiaini, ma non è andato oltre. Le polpette invece, quelle le ha divorate!

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